L’Italia non si ferma: le nuove capitali dell’acciaio

italian-steel-cities-1I poli italiani dell’acciaio: Brescia – Udine – Cremona

Finalmente buone notizie. Mr. Inox sapeva che la minaccia dei dazi e la concorrenza sotto regime di dumping non avrebbero dato tregua alla comunità dell’acciaio, ma dall’Italia stavano arrivando segnali positivi, concreti e confortanti. Le aziende produttrici di acciaio di qualità non si stavano estinguendo, al contrario: erano in crescita con forza, determinazione e professionalità.

Quella mattina si era ritrovato in una stazione brulicante di pendolari interessati più alle punte delle loro scarpe, che a quello che succedeva intorno. Li aveva osservati a lungo, nascosto dietro gli spessi occhiali neri che lo accompagnavano in ogni missione. Stringeva con forza, nelle grandi mani e sotto le braccia, un gran numero di quotidiani, arrotolati l’uno dentro l’altro. Poche ore prima aveva saccheggiato l’edicola dell’aeroporto, prendendo testate di tutto il mondo, per tenersi aggiornato durante quel riposo forzato. Eppure, non aveva ancora trovato il coraggio di affrontare le novità che avrebbe potuto trovarvi scritte.

In piedi sulla banchina, immobile, pensava alla settimana difficile che si era appena conclusa. L’ultima di una serie di settimane impegnative, di diversi mesi di tensione generale. L’accordo sperato non era stato raggiunto e la concessione di un altro mese per le trattative non era un tentativo di conciliazione. Entrambe le parti non sembravano aver intenzione di cambiare le proprie posizioni. La paura di molti, che le divergenze diventassero insormontabili, pareva fondata.

La notizia della proroga gli era stata comunicata a notte fonda. Senza che il pensiero di salutare gli amici americani lo sfiorasse, si era imbarcato sul primo volo del mattino. Per qualche giorno non sarebbe servita la sua presenza oltreoceano e il richiamo del vecchio continente si era fatto irresistibile, inoltre, sapeva che avrebbe rivisto Washington molto presto, così l’aveva lasciata senza troppe esitazioni.

Il fischio acido dei freni gli fece serrare i denti. L’ultimo treno e, poi, sarebbe stato finalmente a casa.

Una volta accomodatosi in carrozza, guardando fuori dal finestrino, sospirò. Si concentrò sui giornali, studiando le prime pagine per decidere da quale iniziare. La scelta cadde su un’importante testata italiana, Il Sole 24 Ore: la giornata stava per cambiare volto.

“Le nuove capitali dell’acciaio”, recitava il titolo del pezzo a pagina 13.

Secondo lo studio citato, le piccole aziende della penisola erano riuscite rispondere alla recessione della siderurgia statale degli ultimi decenni. Non avevano solamente occupato lo spazio lasciato vuoto dai vecchi giganti dell’acciaio: in alcuni casi erano diventate piccole multinazionali, avevano diretto il loro sguardo oltreconfine con maggiore sicurezza e conquistato importanti fette di mercato, sia europeo che extracomunitario.

Tre erano le Steel Cities che andavano a costituire il podio, tutto nordico, dell’export: Brescia, Udine e Cremona.

Il giornale comunicava che la Leonessa d’Italia, Brescia, già nei primi mesi del nuovo anno aveva confermato la posizione conquistata negli anni precedenti come prima provincia d’Italia per l’esportazione. Nel trafiletto, in successione, comparivano i nomi delle aziende locali, già “campioni nazionali”, che avevano consentito la crescita del 19,2% sul 2017: Feralpi, Alfa Acciai, Ori Martin, Ferriera Valsabbia, Acciaierie Venete, Iro, Duferco, Riva forni elettrici. Germania e Francia erano identificate come le principali destinazioni dell’acciaio bresciano, ma anche Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Svizzera, Turchia e Algeria.

Udine, in seconda posizione, si mostrava nei dati Istat in grande fermento, vantando la crescita più significativa della triade: +41,9%, grazie agli acquisti di clienti austriaci, ungheresi, cechi, sloveni e, come per Brescia, principalmente tedeschi.

A chiudere il triangolo dell’acciaio Cremona, la città del violino, con il 21% in più di vendite estere grazie all’Acciaieria Arvedi.

Letto l’articolo tutto d’un fiato, Mr. Inox alzò lo sguardo. Tra gli altri viaggiatori c’era chi dormiva, chi diteggiava con furia sullo schermo del cellulare, qualcun altro guardava fuori dal finestrino con lo sguardo vacuo. Lui sorrideva, il cuore che quasi gli usciva dal petto per la gioia: non aveva più bisogno di riposo e mentre aspettava di sentir comparire la voce di M al telefono, pregustava il sapore di una nuova missione.

 

English Version:

Finally, good news! Mr. Inox was conscious that American duties and dumping competition wouldn’t give break to steel community, anyway concrete and positive signs were coming from Italian factories. That meant high quality steel works were alive and they were not going to become extinct. On the contrary, those industrial brands were growing stronger, with more determination and professionality.

Mr. Inox had found the train station crawled with people interested more to their feet than to what happened around. He stayed a lot looking people passing by, helped by his black sunglasses used in every mission. He was holding into his hand and under the arms a great quantity of newspapers. Some hours before he had raided the airport newsstand. He needed prints from all over the world in order to keep informed despite the forced rest.

However, he hadn’t feel ready to read them, he was worried about the news he could have found.

He was standing on the platform thinking about the hard week just finished. It had been the last difficult week of a series during months of tension. The hoped deal had not been done and the more month granted to find an accord didn’t mean will of conciliation. The both parties were not interested in change their opinions. There was a real worry that divergencies could never be overcome.

The extension was communicated late in the night. He had not spent a moment thinking if greet American friends and he had token the first plane in the morning. For some days his presence wasn’t needed overseas, and the call of his homeland had been become irresistible. Moreover, he knew that he would be back to Washington early, so leaved the city without hesitations.

The train whistle made him shut teeth. It was the last train to come home.

He seated down in the cabin and looking out the window he sighed. He looked to newspapers wondering from which begin. He chose an Italian paper, Il Sole 24 Ore, which was going to change his mood.

New steel capital cities” the title of page 13 was saying.

The column cited a research about the growing of Italian steel makers. The great new was that the collapse of the national steel industry had been filled by the private one in less than 10 years. Private factories had replaced the public steel giants, sometimes becoming little multinationals, increasing their European and international market share.

Three Steel Cities placed all in the north of Italy: Brescia, Udine and Cremona.

The article said that Brescia had confirmed during the beginning of 2018 the first position for Italian steel export, reached years ago. Then there was the list of the main factories involved in the area: Feralpi, Alfa Acciai, Ori Martin, Ferriera Valsabbia, Acciaierie Venete, Iro, Duferco, Riva forni elettrici. Germany and France were the principle destinations, but also Hungary, Czech Republic, Poland, Slovenia, Switzerland, Turkey and Algeria.

In the second position there was Udine, with an incredible grew of 41.9% thanks to clients from Austria, Hungary, Czech Republic, and Germany.

Cremona was the third one and its grew of 21% was connected exclusively with Acciaieria Arvedi.

Mr. Inox read the article all of a breath and then he looked around. Other passengers were sleeping or furiously touching the screen of the mobile phone, someone else was looking out the window. He smiled feeling the hearth full of joy. Mr. Inox realized he didn’t need rest no more, so took the phone to call M thinking to a new mission.

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